Sotto la Lanterna il più alto numero di richieste per fare il “driver” e il record degli utenti che scaricano la app del servizio

Tutta colpa (o merito) di Amt. Perché con l’azienda dei trasporti in crisi, la sforbiciata delle corse nelle zone collinari, per gli autisti di Uber si è aperta  –  letteralmente  –  un’autostrada.

A poco più di un mese dall’arrivo a Genova dell’applicazione per Smartphone che permette di risparmiare il 30-40 per cento su un passaggio in taxi, il successo di Uber Pop fa impressione: “Genova è la città in Europa che ha avuto la crescita più forte nel numero di corse e nelle domande di chi si propone come driver  –  spiega Benedetta Arese Lucini, general manager Uber Italia, l’azienda con sede a San Francisco che nel nostro Paese ha provocato una vera e propria sollevazione dei taxisti, preoccupati dalla concorrenza  –  In un mese, nel capoluogo ligure migliaia di utenti scaricano la nostra app sul cellulare”. Ma il vero boom riguarda i guidatori: perché a reinventarsi autisti nei ritagli di tempo, a Genova sono sempre di più. “Sul nostro sito arrivano almeno 300 richieste a settimana”, spiega Arese Lucini. Proprio così: perché oltre ad ammortizzare le spese dell’auto o del parcheggio, diventando un “driver” di Uber Pop  –  anche solo nei ritagli di tempo  –  si guadagnano in media una cinquantina di euro a settimana. Cifre che, con la crisi, sono ambite: da studenti fuori sede, pensionati che vogliono arrotondare, lavoratori part-time.

Come un social network. “Uber Pop funziona come un social network: geolocalizzato  –  spiega la general manager  –  è una comunità. E dopo Roma e Milano, ci siamo diretti su Genova: perché eravamo incuriositi dal numero altissimo di persone che aveva aperto la nostra app per cercare il servizio. Qui, poi, il servizio pubblico è carente, soprattutto nelle zone collinari o a Levante: alla passeggiata di Nervi, per esempio. Abbiamo fatto un’indagine e i locali si lamentavano che alla sera i clienti facevano fatica a raggiungerli”. E infatti, di notte le “chiamate” a Uber raddoppiano: perché è il momento in cui gli autobus diventano un miraggio, e i taxi alzano le tariffe.

Driver per crisi. Ma chi sono, questi nuovi autisti genovesi che i taxisti vedono come il fumo negli occhi? “Il profilo è molto vario  –  spiegano a Uber  –  molti sono studenti, o pensionati, persone che hanno un paio di ore libere e invece di lasciare l’auto in un garage o in un parcheggio, in questo modo coprono i costi accettando di dare passaggi. Perché l’auto costa, e in tempo di crisi è una spesa da ammortizzare”. Per diventare un driver, basta andare sul sito di Uber e compilare il questionario online. “Siamo a trecento richieste a settimana  –  spiega Benedetta Arese Lucini  –  a chi fa richiesta, arriva una email. In cui si chiede di mandarci una serie di documenti: l’estratto conto del portale dell’automobilista per sapere quante multe hai avuto, quanti punti hai perso. Se il guidatore ha meno di 15 punti non lo accettiamo, e nemmeno se ha avuto una sospensione grave per esempio per guida in stato di ebbrezza. Poi chiediamo i carichi pendenti e il casellario giudiziario, e i documenti dell’auto come libretto e assicurazione “. A quel punto, arriva la chiamata: e iniziano gli incontri di formazione. Al cliente, una volta sceso dall’auto, la corsa viene addebitata sulla carta di credito. E al driver arriva ogni settimana un bonifico.

Autista per scelta
. “Ho iniziato a fare il driver dopo aver visto un link su Facebook. E lo faccio nei ritagli di tempo: quando sono in auto e non ho fretta, allora decido di condividerla  –  racconta Andrea Censi, 39 anni, laureato in Giurisprudenza e responsabile di gruppo imprenditoriale genovese  –  usavo Uber come fruitore all’estero. Quando è arrivato a Genova mi sono subito presentato: ho pensato, perché no? Ci sono settimane che faccio il driver per tre-quattro giorni per due o tre ore, settimane in cui invece non ho tempo. È un modo per avere un rimborso spese della mia auto. Ma anche per creare nuovi rapporti con le persone: molto informali “.

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Fonte; LaRepubblica/Genova