Il car sharing nell’ambito del territorio comunale è una possibile alternativa ai mezzi di trasporto con vettore. Lo ritiene l’agenzia delle Entrate, nella risoluzione 83, pubblicata ieri in risposta a un interpello.

Secondo l’Agenzia, il servizio di car sharing nelle aree urbane rappresenta una evoluzione dei tradizionali sistemi di mobilità. Pertanto, se opportunamente documentati, anche i rimborsi delle spese di trasporto sostenute dai dipendenti in trasferta nel comune sede di lavoro rientrano tra quelli esenti da imposta, di cui al comma 5 dell’articolo 51 del Tuir.

Viene quindi “aggiornata” la normativa in vigore, in base alla quale sono imponibili le indennità e i rimborsi di spese relative a trasferte effettuate nel medesimo comune ove è ubicata la sede di lavoro del dipendente, ad eccezione, solo, dei «rimborsi di spese di trasporto, comprovate da documenti provenienti dal vettore».

La risposta fornita dall’Agenzia si basa sulla sostanziale equiparazione del servizio fornito dal taxi con il servizio fornito dal car sharing e dalla documentazione rilasciata da quest’ultimo. Il servizio di taxi consiste infatti nel trasportare il cliente da un luogo (di partenza) alla destinazione pattuita e, per tale servizio, viene richiesto un corrispettivo sulla base della tariffa comunale in vigore. Analogamente, car sharing consiste nel mettere a disposizione del cliente un veicolo in un luogo predefinito (di partenza) con cui egli raggiunge la destinazione desiderata. Similmente al servizio di taxi, anche per il car sharing il corrispettivo è quantificato in ragione dell’effettivo utilizzo del veicolo, cioè in base alla durata e ai chilometri.

In conseguenza della possibilità di controllare tramite gli strumenti inseriti sui veicoli la durata e i chilometri percorsi dai clienti, le società di car sharing emettono fatture al termine di ogni utilizzo del tutto paragonabili, per analiticità e dettagli, ai documenti predisposti dai conducenti dei taxi. Quindi tali fatture, in linea di principio, possono essere riconosciute come documenti di spese di trasporto sostenute dai dipendenti e rimborsabili a “pie’ di lista” ai sensi dell’articolo 51, comma 5, del Tuir.

Pertanto, se le fatture emesse dalle società di car sharing nei confronti dei dipendenti in trasferta nell’ambito del comune hanno il contenuto richiesto dalla norma (si veda la scheda qui a destra), analogamente ai documenti provenienti dal vettore possono, secondo l’Agenzia, dare sufficienti garanzie di effettività dello spostamento dalla sede di lavoro e di utilizzo del servizio da parte del dipendente. Così anche tali fatture, come i documenti rilasciati dal vettore, si conformano alla ratio dell’articolo 51, comma 5, ultimo periodo, del Tuir, che è tesa ad evitare che le indennità o i rimborsi spese per spostamenti nel comune possano sostituire la retribuzione ordinaria.

Inoltre, ai fini della non concorrenza del rimborso alla formazione del reddito del lavoratore dipendente nonché della deducibilità del costo dal reddito d’impresa, è irrilevante il fatto che la fattura sia intestata al dipendente e non contenga alcun riferimento al datore. A tale proposito la prassi (risoluzioni 1979 n. 9/1108; 20 maggio 1980, n. 9/1000; 5 gennaio 1981, n. 9/2796) ha infatti, da sempre, ribadito che, ai fini della deducibilità dei relativi costi dal reddito d’impresa (e, di conseguenza, anche ai fini della non imponibilità in capo al dipendente) sia indispensabile, ma al contempo sufficiente, che risulti il collegamento tra incarico della trasferta e i documenti occorrenti per il rimborso analitico delle spese necessarie all’espletamento dello stesso incarico. In ogni caso, ai fini del rimborso non tassato, l’Agenzia convalida anche la documentazione relativa al cosiddetto utilizzo incrociato, in cui la società/datore sia intestataria della fattura emessa dalla società di car sharing e rimborsa al lavoratore la spesa sostenuta per l’utilizzo del veicolo.

Fonte; Il Sole 24Ore